Recensione di “Che il libeccio faccia il mio gioco”, romanzo di Luisa Aliotta

Nel romanzo Che il libeccio faccia il mio gioco, Luisa Aliotta ci regala una storia che è un inno alla parola scritta, un messaggio esistenziale per tutti coloro che, come Ludovica De Broca, la protagonista, non si accontentano di vivere, ma vogliono sentire. Ludovica è un personaggio fuori dal tempo, che rifugge ogni logica narrativa convenzionale per abbracciare l’unica via che conosce davvero, quella della parola.

“Non sono mai stata una sognatrice, ma ho sempre creduto che la vita vera fosse quella raccontata nei libri, mentre quella di tutti i giorni non fosse altro che una superficie su cui impattare, per poi sollevare lo sguardo verso l’alto.” (Cit.)

lettere al vento

Ludovica è una donna, ma prima ancora è un’anima errante. Direttrice di biblioteca e scrittrice, vive come un’esteta bohémien alla perenne ricerca di emozioni pure, talmente rarefatte da sembrare impossibili. Si definisce viveur e non si tratta di un vezzo. È un manifesto. La sua esistenza è scandita da piccoli riti estetici, da abiti impeccabili e da una tensione costante verso la bellezza come forma assoluta.

“Vestivo soltanto di nero: camicie di lino in estate, simbolo di eleganza e stile; cappottini beige e neri, dolcevita in inverno, come la figlia di un grande scrittore che cerca di confermarsi tale, all’altezza del padre. Poi scarpe classiche inglesi, pantaloni lucidi e capelli ribelli: così si vestiva un intellettuale di rango, una seduttrice che non aveva bisogno della sua femminilità.” (Cit.)

biblioteca

Nel suo mondo fatto di libri, sguardi che minuziosamente osservano, lettere mai spedite e seduzioni raffinate, la protagonista si muove come una creatura mitica che rifiuta la banalità del reale. Ludovica è attraversata da una continua battaglia contro la concretezza, contro quel mondo “sensibile” fatto di abitudini, pragmatismo e compromessi. Un mondo che lei rifiuta. Lo osserva, lo studia, ma non lo abita mai veramente. Ludovica si rifugia in quello che definisce “il suo mondo di carta”: un universo alternativo fatto di lettere, narrazioni interiori, innamoramenti silenziosi, giochi di sguardi che diventano letteratura. Lì tutto è puro, inafferrabile, sospeso tra desiderio e assenza. Lei non ama per costruire, ma per immaginare. Ogni uomo che la sfiora – con gli occhi, con un gesto, con un cenno – viene trasfigurato in un’idea, in un’ossessione, in un’epistola mai consegnata. La narrazione si compone di momenti lirici, meditazioni sull’amore, sulla scrittura, sulla distanza tra ciò che si è e ciò che si desidera essere.

“Ogni opera d’arte cerca il proprio scultore, colui che la ricompone quando sarà in frantumi. Mi presenterò con i miei occhi, la mia bocca o meglio ancora, con le mie parole. Voglio parlarti fino a rapirti, anche quando, con un blando saluto, crederai di avermi lasciata andare via. La tua grazia e la tua bellezza diventeranno un vezzo, come un fiore su una montagna che vado ogni tanto a guardare, senza strapparlo via dalla sua terra madre.” (Cit.)

lettera

Luisa Aliotta riesce a tessere un racconto fatto di percezioni oltre che di eventi. È un romanzo che vive negli spazi vuoti, nei sospiri, nei gesti mancati. Proprio lì, in quell’assenza, vibra una poesia fortissima. La vicenda si muove lungo tappe emotive: Ludovica incontra uomini che incarnano di volta in volta il suo bisogno di amare, di essere amata, di specchiarsi in uno sguardo capace di restituirle il senso di sé, della sua essenza sfuggente.

“Avevo semplicemente capito perché mi fossi innamorata di lui, ed era la prima volta che pronunciavo quel verbo che simula il gesto della caduta, come direbbero i francesi: tomber amoureux. Il mio bisogno nei confronti di questa persona era legato al suo sguardo: al modo in cui mi guarda o meglio, mi vede. Con lui mi sento un’entità metafisica, un dio, un sogno, ma senza cadere nella facile idealizzazione. Lui sa che tutto ciò che vede, che conosce, che ascolta dalla mia voce calda è vero. Non si tratta di fiducia, ma di una corrispondenza tra ciò che osserva e ciò che ammira, quasi fosse un principio tautologico. Ho bisogno di vedermi, perché nella mia vita non riesco a specchiarmi in nulla che mi ricordi chi sono, o cosa rappresento. Quindi, concretamente, non amo lui, ma l’immagine che mi restituisce e, di riflesso, me stessa.” (Cit.)

Eppure, in questo gioco riflesso di sguardi e parole, qualcosa accade. Un frammento di realtà riesce a farsi largo tra le pieghe di una vita sognata. Un bacio, un addio, o una carezza – finalmente vissuti – riescono a rompere la gabbia dorata della “vita di carta”.
L’autrice scrive con una grazia quasi pittorica, intima e feroce. Ogni frase è scolpita con cura, come se fosse l’ultimo respiro prima di un tuffo nel mare dell’inconscio. Il linguaggio è raffinato, ricco di metafore, di sussurri lirici e ferite aperte.

“L’amore non si dimentica: si dissimula, fino a diventare contraffatto, mentre tutti diranno che è soltanto un ricordo passeggero. Un cuore che ama ha la memoria lunga, ricorda ogni cosa. È abituato a memorizzare il primo respiro dell’amato così come il frastuono del cuore dopo che si è spezzato. Ditemi: si può dimenticare il suono di un rumore assordante, come un aeroplano che si schianta al suolo? L’amore è uno schianto.” (Cit.)

bambino legge

Non si tratta solo di raccontare una trama – che pure c’è e coinvolge – ma di avvolgere il lettore in una nebbia, sensoriale e concettuale, dove le emozioni non si spiegano, si avvertono. La letteratura, in questo romanzo, è più di un contesto: è l’unica via possibile per esistere. Ludovica non vive la realtà: la traduce, la sublima, la ritrae in mille versioni su fogli mai consegnati. Ma è proprio questa tensione fra l’assoluto e l’impossibile che rende il romanzo così vero, così dolorosamente bello.
Attraverso gli incontri, Ludovica cerca una forma di corrispondenza tra la vita interiore e quella esterna. Tra la carta e la carne. Tra l’immaginazione e l’amore vissuto. Eppure, ogni volta che si avvicina alla possibilità di amare davvero, qualcosa in lei si ritrae. Forse per paura, forse per non corrompere quella sacralità che solo il non detto può conservare.

“Perché tutto questo amore non dipende da me, ma da qualcuno che io non sono. Pensavo a quanto fosse mortificante ammettere la verità a sé stessi, più ancora che agli altri: un groviglio di pensieri. Fino a quando non individuerò un nuovo motivo che mi impedisca di lanciarmi a pesce, come farebbe chiunque: il cardine della mia presunta immobilità. La verità. Questo Amore è la mia linfa vitale, la motivazione della mia esistenza, ispirazione e slancio. Se dovessi soddisfare il Desiderio e dichiarare il mio Amore, ormai pronta a viverlo pienamente… significherebbe perdere ogni cosa, poiché erosa, consumata, fino a svanire nell’ombra dell’amore, alle pendici del cumulo di cenere del desiderio.” (Cit.)

spiaggia

Che il libeccio faccia il mio gioco è il diario di una donna che si rifugia nell’immaginazione per difendersi dalla delusione. Ma anche un grido sottile, elegantissimo, di chi vuole credere ancora che l’amore sia possibile e che la letteratura possa salvarci, se non dalla solitudine, almeno dall’insensatezza.
La scrittura è ricca di pathos, ma mai retorica, colta, ma accessibile, sempre profondamente femminile. L’autrice mostra una rara capacità di accostare l’introspezione al lirismo, l’analisi alla sensualità, in un equilibrio solido e seducente. Ogni parola è scelta con cura, come se dovesse essere letta ad alta voce in una stanza silenziosa, piena di luce soffusa e di nostalgia.

“L’amore è come una malattia cronica: ci sono giorni in cui ti sembra di essere al settimo cielo, in cui apprezzi la vita e il mondo ti appare inedito, meravigliosamente speciale. E altri in cui ti senti già morto, e niente sembra poterti aiutare, perché tanto, prima o poi, morirai: lo sai per certo. Eppure, ti sembra di avvertire l’esistenza sotto le dita, come un pianista percepisce la magia dei tasti del suo pianoforte: è qualcosa che non si spiega. Forse è proprio quando siamo al limite delle nostre energie che la vita si svela per quella che è ma solo per un istante così labile da non poterlo ricordare una volta tornati con i piedi per terra. Nei miei sogni vedo cose meravigliose, ma, nella maggior parte dei casi, non riesco a ricordare altro che un futile dettaglio o una trama priva di senso.” (Cit.)

sigaretta

Il romanzo di Luisa Aliotta non si legge, si attraversa. Come un vento caldo e imprevedibile, ti scompiglia l’anima, ti fa inciampare nella bellezza e poi ti lascia lì… con la voglia struggente di tornare a sfogliare quelle pagine solo per riascoltare il suono della voce di Ludovica. Una voce che sa di carta, d’inchiostro e di desiderio.

Una lettura perfetta per chi ama i libri che non temono il silenzio. Per chi crede ancora che scrivere lettere d’amore sia un atto rivoluzionario. Per chi, come Ludovica, ha bisogno di una carezza che arrivi dritta al cuore e lo metta in disordine. Un romanzo per chi non ha paura di sentire troppo e ama le parole, il silenzio degli sguardi, il desiderio che arde senza mai spegnersi davvero. Una storia che si legge con il cuore aperto e la mente sospesa tra sogno e realtà, accompagnati da una protagonista tanto imperfetta quanto meravigliosamente umana.

L’autrice

Luisa Aliotta, nata ad Acerra in provincia di Napoli, vive e insegna Filosofia e Storia a Racconigi (CN).
Nel corso della sua carriera di autrice ha vinto premi letterari, tra cui il primo posto al Premio di poesia Amalia Vilotta nel 2021, il secondo posto al Premio Hombres di giornalismo nel 2023 e il primo posto al concorso Versi e Non Versi nel 2024 con l’articolo “Come nasce un insegnante di materie umanistiche”.
Gestisce un blog intitolato “La donna che guarda”, dedicato alla divulgazione culturale, dove esplora e condivide riflessioni su letteratura, filosofia e tematiche esistenziali.
Che il libeccio faccia il mio gioco: omaggio alle parole in volo è il suo romanzo d’esordio vincitore del prestigioso Premio Mestre 2025 di Venezia.

La scheda del libro

Autore: Luisa Aliotta
Titolo: Che il libeccio faccia il mio gioco: omaggio alle parole in volo
Editore: Mazzanti Libri
Pagine: 196
Data di pubblicazione: 27 giugno 2025
Genere: Narrativa contemporanea

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